Archivi per il mese di: gennaio, 2007

“Se la guardi giocare e poi vai a vedere il museo delle belle arti, apprezzerai di più certi quadri”. Lo dice Lajos Tuchtan, operaio alle acciaierie Csepel (a 200 fiorini il mese), al figlio Gábor, figura centrale di un romanzo-verità che attraversa la storia. Quella della grandissima Honvéd trapiantata nella Aranycsapat, la Squadra d’oro, “e di un giocatore, se possibile, ancora più grande, Ferenc Puskás”, come scrive nella prefazione Roberto Beccantini. E quella, con la maiuscola, della rivoluzione ungherese del 1956.

Solo dopo averle fatte proprie si sconfigge il pregiudizio derivante dal duplice artificio letterario scelto dall’autore, giornalista per Repubblica di cronaca, sport e varia umanità: raccontare l’epopea della Honvéd-grande Ungheria con gli occhi e il cuore di un personaggio immaginario di un “romanzo nonfiction”. L’ossimoro racchiude infanzia e adolescenza di Gábor, amico di Sándor, il figlio del custode del vecchio stadio, di quattro anni più grande, che è il piu bravo a giocare a pallone e ha un asso pigliatutto: conosce Puskás, l’idolo del Paese.

La narrazione comincia nel 1949, quando viene posta “La prima pietra” del Népstadion, lo stadio del popolo, che Lajos e Gábor contribuiscono a costruire in una domenica lavorativa che per il bambino di nove anni non avrà seguito. Perché “signor Tuchtan, come lei sa noi siamo per i diritti dei lavoratori. Se facciamo vedere certe cose, poi la propaganda borghese e controrivoluzionaria potrà dire che sfruttiamo i bambini. Sappiamo che lei era in buona fede e per questo non prenderemo provvedimenti. Ma stia atttento la prossima volta”.

I Tuchtan vivono nel quartiere di Köbánya, Sándor in quello popolare di Kispest, la cui omonima squadra, in origine rossonera, sarebbe diventata la leggendaria Honvéd (“soldato” in ungherese): alla lettera, difensore della patria; in soldoni la squadra dell’esercito. Sulla casacca rossa il nero viene sostituito dal bianco che, unito al verde dell’erba, porta in campo i colori della bandiera nazionale: al cui centro mai deve mancare lo stemma con falce e martello, i simboli del Partito.

Alla fortissima Honvéd confluiscono, volenti o nolenti, i migliori talenti d’Ungheria. Tranne isolate eccezioni, pilotate dall’alto, come i nazionali Hidekguti, Lantos e Zakárias, rimasti all’MTK – assieme al Ferencváros, club storicamente di destra, l’altra grande della capitale –, presto ribattezzata Textiles, Budapesti Bástia e Vörös Lobogò quando diventa emanazione della ÁVH, la famigerata Polizia segreta. I cui metodi erano così persuasivi da far coniare un neologismo: csengöfrász – terrore del campanello – cioè la paura che quelli della notte ti squillassero alla porta di casa. Allora sapevi quando e dove saresti andato – caricato su Poboda nere con tendine scure ai finestrini, destinazione fortezza di Fö utca –, non se e come saresti tornato. E a quale delle tre categorie di cittadini ungheresi saresti appartenuto: chi è stato in prigione, chi è in prigione, chi andrà in prigione.

Gábor cresce nel mito del comunismo che funziona. La nazionale del Ct “buon comunista” Sebes conquista l’oro a Helsinki 52 superando 2-0 la Jugoslavia del revisionista Tito in una finale in cui, parola del Primo ministro Rákosi, “la sconfitta non sarà tollerata”. Poi batte i maestri inglesi nella Partita del secolo (25 novembre 1953, 3-6 a Wembley, sin lì inviolato) e li umilia nel suo Népstadion (7-1 il 23 maggio 1954). Il titolo mondiale, a Svizzera 54, sembra una formalità, il normale coronamento di un piano quinquennale calcistico, per una squadra che dal 1950 al 1956, su 50 partite, ne perderà solo una. Quella sbagliata. La Sconfitta (3-2 in finale col Colonnello zoppo e contro la Germania Ovest dell’epatite di gruppo) cambierà tutto. Perché “quella squadra era tutto quello che avevano”.

Il 23 ottobre 1956 scoppia la rivolta contro la dittatura comunista. Gábor la sostiene ma si sente sempre socialista. Lajos e mamma Ilona salgono sull’ultimo treno per Vienna, che i sovietici non fermeranno, lui scende. Il maggiore Puskás & C., fuggiti all’estero, da eroi – cui tutto si perdona, persino il contrabbando di calze di nylon – diventano traditori. Mosca invia i carri armati, prima i T34 poi i più temibili e coriacei T55. I sogni (di libertà, democrazia, sviluppo) muoiono all’alba. Nel sangue. “Sono contento che abbiamo perso – dice Sándor all’amico – Serviva perdere la Rimet, per ribellarsi. Per la dittatura nessuno protesta”. La squadra che, venti anni prima dell’originale, aveva inventato il calcio totale si era spezzata. Ma non piegata.

Christian Giordano, Guerin Sportivo

Si inizia a sfondare anche all’estero. Questo è il lancio di agenzia della Mti, praticamente l’Ansa ungherese, ripreso da vari giornali di Budapest.

Történelmi háttér, vásári komédia, beavatási szertartás – bármelyik lehet a futball, amelynél fontosabb dolog kevés létezik az olaszok számára. Érthető tehát, hogy az új év első itáliai irodalmi alkotásai között három olyan művet is találunk, amelynek a foci áll a középpontjában.
Az első mindjárt magyar vonatkozású: Luigi Bolognini A szétszakított csapat (La squadra spezzata) című regényének kettős aktualitást adnak a magyar 1956-tal kapcsolatos megemlékezések és Puskás Ferenc tavaly novemberben bekövetkezett halála. A regény ugyanis az Aranycsapat mítoszát mutatja be kettős tükörben: mint a sztálinista rendszer sikerpropagandájának eszközét, amellyel bizonyítani próbálták a kommunizmus felsőbbrendűségét a kapitalista Nyugattal szemben és mint egy, a kommunista jövőben is hívő kamasz fiú természetes rajongásának tárgyát. Bolognini ismét előveszi a régi párhuzamot: ha nincs Bern, nincsen 1956. A főhős, Gábor szemei előtt egyszerre omlik össze a rezsim és az Aranycsapat, amelynek neve így, magyarul szerepel a könyvben. 1956 leverése nemcsak a szabadság reményét öli meg, hanem a futball-legenda szertefoszlását is jelenti, miután a bálványok közül többen, köztük Puskás, osztozik a magyar emigránsok sorsában.

Chiaro, no? Ma forse preferite la traduzione

Retroscena storico, commedia da piazza, processo d’iniziazione – il calcio puó essere qualsiasi di questi, perché per gli italiani sono poche le cose piú interessanti di questa. Si capisce quindi, che tra le opere letterarie del nuovo anno troviamo subito tre libri che si occupano principalmente del calcio.
Il primo ha subito una tematica ungherese: il libro di Luigi Bolognini s’intitola La squadra spezzata, ed é doppiamente attuale per le commemorazioni della rivoluzione del 1956 e per la morte di Puskás, avvenuta a novembre. Il romanzo ci fa vedere il mito dell’Aranycsapat in un doppio specchio: come mezzo della propaganda vittoriosa del sistema stalinista, nel tentare di provare la supremazia del communismo sull’Occidente capitalista, e come l’oggetto naturale del desiderio di un adolescente che crede nel futuro communista. Bolognini riprende il vecchio paragone: se non c’é Berna, non c’é 1956. Il regime e l’Aranycsapat (che é chiamato cosi, con il suo nome ungherese nel libro) cadono contemporaneamente negli occhi del protagonista, Gábor. La sconfitta della rivoluzione non uccide soltanto la speranza della libertá, ma significa anche lo svanimento della leggenda calcistica, dato che parecchi degli idoli, tra gli altri anche Puskás, sono rifugiati all’estero, come molti.

La sera del 9 marzo sarò a Bergamo, alla libreria Fabula (www.libreriafabula.it) a presentare il libro. Con me anche Matteo Marani, autore del libro Dallo scudetto ad Auschwitz, e Paolo Maggioni di Radio Popolare. Accorrete numerosi.

Chi mi conosce sa che non ho, mediamente (mediamente, ripeto), un’eccelsa considerazione dei giornalisti, specie di quelli che per ragioni inesplorabili si ritrovano in mano le chiavi della grande politica. Non che  ne abbia una bassa considerazione; però non ne ho nemmeno una considerazione alta come quella che essi hanno di sé (e dei propri diritti verso il mondo che raccontano). Ecco. Luigi Bolognini è un po’ il contrario dello stereotipo di giornalista che i fatti della vita mi hanno indotto a formarmi. È un cronista milanese di Repubblica bravo, umile e dai molti interessi. È uno che non apprezza molto il mondo d’oggi. E pur essendo piuttosto giovane (34 anni) guarda con nostalgia al mondo di qualche decennio fa; che non ha conosciuto, e che lo ha preceduto.

Forse per questo ha scritto un libro sulla storia della grande Ungheria di Puskas e Hidegkuti, una delle più belle e romantiche nazionali della storia del calcio. La chiamavano Aranycsapat, la squadra d’oro voleva dire. Era la prima metà degli anni cinquanta e quella nazionale invincibile (battuta solo ai mondiali del ’54 dai tedeschi straripanti di anfetamine) finì per simboleggiare la gioia possibile di un popolo su cui si stendeva il cielo plumbeo di un regime intollerabile. Finché i carri armati russi giunti a stroncare la rivoluzione di Budapest disfecero quella squadra leggendaria, mandandola in diaspora per il mondo, a rendere grandi (e altrettanto leggendarie) le squadre che illustravano un regime di segno opposto, quello della Spagna fascista: Kocsis e Czibor a far grande il Barcellona e soprattutto il colonnello Ferenc Puskas a fare grandissimo il Real Madrid, la squadra che stava nel cuore del dittatore Franco.

Bolognini ha scritto la vicenda dell’Aranycsapat con tratto delicato e struggente, intrecciandola senza retorica con uno degli eventi storici più drammatici di tutto il Novecento, e ordendo la trama del romanzo intorno a un giovanissimo tifoso di nome Gabor, un fan di Puskas convinto – fino alla terribile prova contraria – che i trionfi della grande Ungheria fossero, un po’ come poi le imprese astronautiche della Russia o quelle delle nuotatrici dell’est tedesco, il segno infallibile della superiorità del comunismo. Un bel libro per chi ama il calcio e per chi ha provato l’effetto magone, qualche settimana fa, alla notizia della morte di Puskas, il meraviglioso fuciliere degli stadi. Troppa è la materia che mi si affaccia alle memoria parlandone: da quando volli andare a sette anni con mio padre alla stazione di Milano ad accogliere i profughi ungheresi a quando sette anni dopo vidi un fantastico gol di Puskas in tivù una sera in casa a Roma: Real-Rangers di Glasgow 6-0; al volo, da trenta metri, di sinistro mi pare, una maglia bianchissima. Troppa materia. Perché alla fine la vita è sempre più piena di un romanzo. (Dimenticavo: il titolo del libro è La squadra spezzata. L’Aranycsapat di Puskás e la rivoluzione ungherese del 1956 e l’editore è Limina).

http://www.nandodallachiesa.it

La sera del 22 febbraio (ve lo dico in congruo anticipo così pootete programmarvi e non avete scuse) sarò a Corato, provincia di Bari, alla libreria Sonicart (www.sonicart.it) a presentare il libro. Accorrete numerosi.

Sondrio –  Ci fu un tempo in cui la potenza del regime comunista la si misurava sui campi di pallone. In cui la sfida del socialismo in ogni paese era spesso combattuta undici contro undici, in scarpette e calzoncini. Erano gli anni ‘50, gli anni di Ferenc Puskás capitano e condottiero della nazionale di calcio ungherese, quella che è stata capace, tra il 1950 e il 1956, di vincere tutti gli incontri disputati, sostenuta dal calore di un popolo che in quegli anni mischiava nel suo petto un nazionalismo ben allenato dalla storia a un incrollabile fede nelle dottrine di Mosca. Tutti gli incontri, tranne uno. La finale mondiale di Berna, il 4 luglio del 1954, persa contro la Germania Ovest.
Dell’epopea dell’Aranycsapat di Puskás e di come per gli ungheresi le vittorie di quella squadra fossero più importanti dei proclami del primo ministro Sebes ce ne parla «La squadra spezzata», secondo libro del sondriese Luigi Bolognini, in uscita in questi giorni per l’editore Limina. Giornalista di «Repubblica», Bolognini non è nuovo ad operazioni di questo tipo, in cui storia e mito si sovrappongono, dove le imprese sportive si ammantano di romanticismo grazie al potere evocativo del bianco e nero. Un assaggio di come sia abituato a parlare di sport, Bolognini lo aveva dato già nel 2003, pubblicando «Gli eroi son tutti giovani e belli», raccolta di storie e personaggi del novecento sportivo.
Ora fa di più. Non solo il fascino del ricordo, ma l’importanza di una vera e propria memoria storica, attraverso gli occhi di un ragazzino, Gabor, che in meno di un decennio assiste all’irresistibile ascesa di una nazionale di calcio e alla rovinosa caduta di un paese, sconvolto dalla rivoluzione popolare del 1956, soppressa nel sangue dai cingolati dell’Armata Rossa.
Così la sconfitta della Aranycsapat nella finale della Coppa Rimet del 1954 è la «morte di un sogno», come scrive Bolognini. E paradossalmente il primo sintomo di un’agonia che, di lì a due anni, si consumerà per le strade di Budapest.

Ecco l’mp3 dell’intervista a Gigi Garanzini in A tempo di sport su Radio 24 (courtesy Flavio Suardi).

INSERIRE LINK A 2007.01.24-intervista_radio_24.mp3

Ieri sera mi hanno messo in homepage di Repubblica.it. Ci sono restato fino a questa mattina.

ROMA – Un unico filo che tiene insieme storie e avvenimenti diversi. Il calcio come protagonista della storia, come televisione che sembra commedia dell’arte, o come rito di passaggio della vita. Il calcio, insomma. Solo un gioco, più di un gioco.

Carri armati e pallone. Speranze e tradimenti. Sogni e crudeli risvegli. E l’adolescenza che, come la libertà, finisce. Ungheria 1950, nel grigio clima del regime comunista nasce l’Aranycsapat, la Nazionale di calcio di Puskas e Hidegkuti. Una squadra che regala vittorie, spettacolo. Ma soprattutto tanta gioia agli ungheresi oppressi da un regime spietato e dispotico. “La Squadra d’oro” la chiamano. Capace di giocare 50 partite, vincerne 43, pareggiarne sei. E perderne una, ma importantissima: la finale di coppa Rimet con la Germania. La storia di quella Nazionale e dei fatti che sconvolsero l’Ungheria nel 1956 sono raccontati da Luigi Bolognini in La squadra spezzata (Limina edizioni, 149 pagine, 14 euro).

Anni visti attraverso gli occhi del giovanissimo Gabor, che adora Puskas e crede che quella sia più di una squadra di calcio. Le sue vittorie, giura, confermano che il comunismo avrà la meglio sull’odiato occidente capitalista. Ma quello che per Gabor è un semplice sogno da adolescente, per il regime ungherese diventa uno straordinario mezzo di propaganda e controllo delle masse. “La vittoria è necessaria al partito” dicono i burocrati del governo. E l’Aranycsapat vince.

Trionfi su trionfi. Gli inglesi umiliati a casa loro. Puskas, Hidegkuti, Kocsis, Budai, Bozsik. Più che una squadra, una filosofia di gioco. Imbattibili, o quasi. Ma la sconfitta nella coppa Rimet nel 1954 fa scattare la delusione. E la rabbia verso il regime. Scoppia la rivolta, la gente chiede democrazia, il mausoleo dei dirigenti comunisti si sgretola. Arriva Imre Nagy. Gabor è in piazza. Lotta. Partecipa agli scontri, vede il suo amico Sandor falciato da una raffica di un soldato russo e si vendica. Poi il sogno che sembra avverarsi. E invece viene spazzato via dai carri armati russi. “La Squadra d’oro” non c’è più. La speranza di cambiamento nemmeno.

http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/spettacoli_e_cultura/squadra-spezzata/squadra-spezzata/squadra-spezzata.html

Ecco la scheda di Ibs.it che è il maggior sito italiano di vendita online di libri. Da notare che qui viene venduto col 15% di sconto. Che sia un modo elegante per dire che scrivo libri scontati?

C’è una sottile linea rossa che lega la Nazionale ungherese di Puskás e Hidegkuti, così forte da essere soprannominata Squadra d’oro, e la rivoluzione di Budapest del 1956, repressa dall’Unione Sovietica con i carri armati: la linea rossa dell’emozione, della bellezza, della speranza di un futuro diverso e migliore. Il ragazzino Gabor, fanatico di Puskás, vive i trionfi calcistici (alle Olimpiadi e in due esaltanti partite contro gli inglesi, maestri del calcio) come il segno che il comunismo, di cui è un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Rimet del 1954 – la sola partita persa dall’Ungheria tra il 1950 e il 1956 – manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un Paese. La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, arriva il momento delle scelte.
È il secondo libro di Luigi Bolognini, che nel 2003 aveva esordito – sempre per Limina – con Gli eroi son tutti giovani e belli, una galleria di ritratti di atleti dei decenni passati, come Ottolina, Bagnoli, Missoni, Lea Pericoli. In questo romanzo racconta invece sogni e speranze che vengono infranti prima dai calciatori della Germania Ovest, poi dai carri armati sovietici. “Questo è un bel libro” (Gianni Mura, la Repubblica).

http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?isbn=8860410959

La registrazione dell’intervista a Jalla Jalla (courtesy Paolo Maggioni).

INSERIRE LINK A 2007.01.23-intervista_radio_popolare.mp3