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A metà tra il romanzo e il saggio il libro Luigi Bolognini, giornalista di Repubblica, colma una lacuna nella letteratura sportiva italiana che pure in questi anni si è fatta sempre più prolifica. La “squadra spezzata” a cui fa riferimento il titolo è infatti la nazionale ungherese degli anni Cinquanta di cui da noi finora non esisteva alcuna pubblicazione monografica.
Frutto di una ricerca fatta in loco, sia negli archivi che percorrendo quelle stesse strade di Budapest dove sono ambientate gran parte delle vicende, la narrazione si alterna alle statistiche e al dato storico praticamente fino alla fine. E se talvolta questa mescolanza crea degli squilibri strutturali, la mano di Bolognini è abbastanza salda da mantenere tutto in equilibrio sul filo della memoria. Compito non sempre facile se consideriamo che questa memoria assomma in sé una buona dose di ambiguità. Perché i trionfi di una delle migliori squadre di calcio di tutti i tempi non potevano essere considerati solo successi sportivi in sé e per sé ma anche strumento di propaganda, proposti come dimostrazione esemplare del successo dell’ideologia comunista.
Tutto questo è visto attraverso gli occhi del piccolo Gabor che cresce col mito di Puskas e di una squadra imbattibile e si ritrova invece a fare i conti con ben altri capovolgimenti di fronte. Prima la clamorosa rimonta e conseguente sconfitta nella finale della coppa Rimet ad opera della Germania Ovest, e poi l’invasione dei carrarmati russi a Budapest. Del resto c’è chi sostiene che fu l’imprevista debacle di quei formidabili giocatori (che come dice Beccantini nell’introduzione “offrivano asilo estetico ai cacciatori del bello”) a provocare i moti di rivolta che portatono nel 1956 alla repressione del Cremlino. Bolognini preferisce comunque essere lucido fino in fondo tanto che la sconfitta ai mondiali non sfonda in una dimensione epica, altra, che porterà al dramma di un intero popolo. Il libro si chiude infatti su Gabor che invece di scappare insieme ai suoi genitori dalla città devastata preferisce tornare nelle piazze a lottare per una società migliore, non prima però di essersi infilato la maglia numero dieci, quella di Puskas.

Quando la Storia incon­tra l’emozione ne esce un libro come questo, da leggere tutto d’un fiato, una passeggiata negli an­ni ’50, a scopri­re chi/ cosa era la Honved, squadra da leg­genda, pensate a quello che fu il Toro di Valen­tino Mazzola da noi, potenza magiara come si diceva una volta alle prese con il regime comunista: Hidekguti, Czibor, Kocsis e poi lui, Puskas, leggerezza da mi­to in corpo da film. La squadra spezzata di Bo­lognini di Repubblica è un romanzo sul calcio, e il calcio – tra le pagine – tor­na alla sua dimensione essenziale: gioco, piacere, dramma, vita che si spor­ca, esplorazione dell’ani­mo umano, lì dove il pallo­ne segue gli eventi della Storia, quella del mondo che sta cambiando, e delle piccole storie nobili di un gruppo di giocatori, uomi­ni che vivono una fase di pas­saggio – la me­glio gioventù – e poi salgono ( scendono?) in una età più matura, nel tempo in cui il dribbling non riesce più come una volta e l’assist si perde chissà dove, lasciando tut­ti più stanchi.

Sabato 16 giugno sarò a Pontremoli alla Fiera del Libro Sportivo. Alle 17 presenterò il libro assieme a Roberto Beccantini della Stampa.

Mercoledì 6 alle 18 sarò a Budapest all’Istituto di cultura italiana. Con me Matteo Marani, autore di Dallo scudetto ad Auschwitz e il giornalista della tv Sport1 Tamas Misur.

Ungheria, secondo dopoguerra. La morsa del regime comunista di Rakosi è stringente. Dilagano fame e miseria, la gente va a letto con il terrore che nella notte la polizia politica bussi alla porta per prelevare qualcuno.
Per fortuna c’è la Nazionale di calcio. Quella Aranycsapat, “la squadra d’oro” di Puskas e Hidegkuti che fa sognare e dimenticare le tristezze di tutti i giorni. Una sola sconfitta in cinquanta partite fra il 1950 e il 1956. Ma come se un incantesimo svanisse, il giorno in cui gli undici calciatori perdono la finale di coppa Rimet del ’54 contro l’odiata Germania Ovest, il popolo ungherese scende in strada per contestare: prima gli avversari, poi l’autorità e il Partito. E’ la prima volta, e sarà il preludio per la rivoluzione di due anni dopo, repressa nel sangue dall’armata sovietica.
Vicende calcistiche e storia magiara sono intrecciate abilmente da Luigi Bolognini, giornalista di Repubblica, nel romanzo La squadra spezzata (Limina, pp.149, euro 14).
Protagonista è il giovane Gabor, figlio di un operaio di Budapest, fanatico tifoso di calcio e di Puskas in particolare. Il suo entusiasmo infantile è lo stesso di un popolo che nella “squadra d’oro” trova i modelli da imitare, e in cui ripone l’orgoglio di un’intera nazione.
Bolognini offre l’occasione di leggere suggestive descrizioni di gesti tecnici e atletici, sempre più rare nell’epoca delle moviole ripetute all’esasperazione in tv.
Un piacere romantico per chi ricorda i gol “visti” solo la mattina dopo, nella cronaca sportiva dei giornali. “Johnston rinculò, rinculò, rinculò, e a furia di rinculare Hidegkuti si trovò liberissimo al limite dell’area e da lì poté tirare un diagonale arrotato all’incrocio più lontano”. Così l’Ungheria, dopo neanche mezzo minuto dal fischio d’inizio, va in vantaggio a Wembley, nello storico match contro gli inventori del calcio. “Il socialismo batte il capitalismo”, l’indomani, è il titolo del quotidiano del Partito sulla vittoria ungherese per 6 a 3, replicata anche nella rivincita a Budapest, sette a uno.
Per il regime l’undici del calcio è la migliore realizzazione del socialismo, e soprattutto un efficace strumento di propaganda: un eccellente biglietto da visita per le platee che affollano gli stadi all’estero quando arrivano Puskas e compagni, e un narcotico per tenere buona la piazza entro confine. Poco prima della delicata finale olimpica del 1952 in Finlandia, contro la Jugoslavia revisionista di Tito, lo stesso primo ministro Rakosi telefona all’allenatore magiaro Sebes: “Sappia che una sconfitta non sarà tollerata”. Per la gioia di Gabor, e la fortuna di Sebes, arriva l’oro. Poi ancora vittorie, e valanghe di gol applauditi dai tifosi di mezza Europa.
Ma a un certo momento il sogno vacilla, il calcio non riscatta la storia del paese. Arriva la disastrosa sconfitta nella finale di Coppa Rimet in Svizzera. Proprio contro la Germania Ovest, i cui soldati dieci anni prima avevano occupato l’Ungheria. Nelle strade di Budapest, tutti vogliono vendicate quelle ferite. Ma il pareggio di Puskas al 90′ viene annullato e i tedeschi si impongono per 3 a 2.
E’ la svolta. La disfatta calcistica scoperchia anni di frustrazioni, per la fame e la paura della polizia politica: la gente scende in piazza. “Serviva perdere la Rimet per ribellarsi. Nessuno protesta per la dittatura”, capisce ora Gabor, che due anni più tardi, con indosso la maglietta di Puskas, lotterà insieme al suo popolo per la libertà.
Intanto gli idoli della “squadra d’oro” si saranno dispersi per l’Europa in cerca di migliori fortune.

Ne sappiamo qualcosa anche noi del fascino dell’Ungheria. E non stiamo parlando di belle ragazze, né di cavalli nella pustza, di violini tzigani e di gulasch (brodoso nella ricetta tradizionale), magari innaffiato di tokaj. Stiamo parlando di calcio, del gioco più bello del mondo che qualche teppista vuole farci dimenticare per sempre. Ne sappiamo noi d’Ungheria, conosciuta attraverso le pagine di Ferenc Molnàr che ne I ragazzi della via Pal – apparso esattamente un secolo fa! – ci ha rivelato una Budapest speciale, quasi un mondo salgariano, con due gruppi di ragazzi in eterna lotta per la conquista del loro ‘territorio’. E d’Ungheria abbiamo patito il fascino di favolosi calciatori che hanno indossato anche le nostre maglie, in primis quella biancoblu per cui batte il corazon. Storie di uomini stravaganti, zingari e poeti; di allenatori venuti di lontano, con gli occhi chiari e i capelli biondi; e al loro seguito giocatori di tecnica sopraffina che hanno incantato nei campionati in cui il Legnano o la Pro Patria sfidavano le corazzate milanesi e chi il mondo facea tremar. Qui il ricordo cade ai racconti di mio padre, con il mitico Kubala stella internazionale parcheggiato ahimè a Busto, senza permesso di giocare, eppure capace di raccogliere migliaia di spettatori incantati agli allenamenti. Uno spettacolo che i vecchi ancora rammentano con gli occhi umidi. A questo e ad altro ancora avviene di pensare leggendo un bel libro apparso all’inizio d’anno, che ci riporta ai fasti della grande Ungheria, quella per intenderci di Puskas ed Hidegkuti. Il calcio, il sogno è visto attraverso gli occhi di un ragazzo che vive i trionfi della sua squadra come l’inarrestabile progresso del comunismo. Sport e politica che vanno per mano, dunque, facendo crescere il giovane Gàbor nella certezza d’essere nel migliore dei mondi possibili, come appunto conferma la grande Ungheria. Ma poi accade l’impossibile, l’inatteso: i magiari perdono nel 1954 la finale della Coppa Rimet (l’unica sconfitta tra il 1950 e il 1956!). E allora qualcosa si spezza. Gàbor e un intero Paese si ritrovano soli, in un mondo di miseria e di paura, altro che il paradiso in terra! Tra poco scoppierà però la rivoluzione, il 23 ottobre 1956, e il sedicenne deluso dai suoi paladini non saprà che fare se non sperare in un socialismo dal volto umano.Ma già si sente il rombo del cannone e i carri armati dalla stella rossa irrompono in Bupapest… Una storia da leggere tutta d’un fiato, dove lo sport ci aiuta a comprendere
il passato e a vivere con dignità il presente.
Luigi Bolognini, La squadra spezzata, Limina, 2007. 14 euro per 149 pagine

Luigi Bolognini ne La squadra spezzata ha saputo rivivere anche sotto il profilo storico-politico la nascita voluta dal regime comunista ungherese e la clamorosa affermazione della squadra di Puskas, la Honved, nonché della Nazionale magiara, negli anni intorno al 1956, poi la diaspora dei migliori giocatori di quella favolosa compagine dopo la brutale repressione da parte sovietica della rivoluzione di Budapest. Una rievocazione magistrale. (…) Con un’intelligenza, una competenza e un mestiere che la dicono lunga sulla maturzione culturale delle giovani generazioni.

Può il calcio rappresentare un’efficace metafora della politica e un eloquente specchio delle contraddizioni sociali di un paese, in questo caso l’Ungheria? A leggere bene il romanzo di Luigi Bolognini, “La squadra spezzata” (Limina Edizioni), sembra proprio di sì.
Bolognini si cimenta con destrezza nell’esperimento, raccontando della passione sfrenata che un giovane ungherese, di nome Gabor, nutre per la sua squadra del cuore, l’Aranycsapat (squadra d’oro), la nazionale Ungherese di Puskas e Hidegkuti, che in cinque anni e in 50 partite giocate, colleziona 43 vittorie, 6 pareggi e una sola sconfitta, nella finale di Coppa Rimet, persa clamorosamente a Berna il 4 luglio del 1954, con la Germania Ovest per 3 a 2. E’ qui, in questa inaspettata sconfitta, il fondamentale, cruciale, anello di congiunzione ideale con i fatti, tristemente famosi, dell’Ungheria comunista, dove si svolse la rivolta soppressa dai carri armati dell’Armata Rossa.
Calcio e politica, passione e ribellione, sogni e illusioni. Sconfitta, soprattutto. Di una generazione ungherese che, nella quasi totalità, ha seguito l’evoluzione del successo della nazionale di calcio del proprio paese come fosse il simbolo del riscatto dei popoli oppressi contro il capitalismo e, precisamente, del comunismo contro le nazioni ‘depredatrici’. Una squadra “che faceva nascere il gusto per il bello”.
Il sogno, con la sconfitta riportata nell’ultima, importantissima, partita con la Germania, si rivela un incubo per gli ungheresi e soprattutto per Gabor che, pieno di rabbia per la sconfitta, decide di rivoltarsi contro il governo al potere. La rivolta dell’Ungheria, allora, diventa la linea di confine tra il sogno del comunismo realizzato nei paesi dell’Est e la realtà, ben diversa, di un sistema iperburocratizzato e sovrano sulle menti del popolo. Nulla di più lontano dalle aspirazioni dei ragazzi che, come Gabor, avevano investito tutto, proprio tutto, nella squadra del cuore così come nel socialismo reale.
Il ragazzo matura il rapporto con la dura realtà delle cose, vedendo negli occhi del suo migliore amico, ucciso da un cecchino di un carro armato russo, l’illusione perduta. Una volta che la rivolta sarà sedata definitivamente, negli ungheresi rimarrà soltanto il ricordo della squadra che fu invincibile anche in terra nemica (sconfisse a Wembley, il 25 novembre del 1953, l’Inghilterra “in casa sua” per 6 a 3, con tripletta di Hidegkuti e doppietta di Puskas), e la presa d’atto dell’Ungheria che c’è.
La “squadra spezzata” – Grosics, Buzanszky, Lorant, Lantos, Bozsik, Zakarias, Czibor, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, M. Toth: è questa la formazione ungherese della finale persa a Berna – è, dunque, il racconto partecipato e sofferto di una ferita ancora irrisolta nella memoria collettiva di un popolo. Memoria che, anche il calcio, ha reso paradigmatica di un mondo, quello della “guerra fredda”, ancora tutto da studiare e da capire a fondo.

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Venerdì 18 maggio alle 18 sarò alla libreria Mondadori di piazza Fontana di Trevi a Roma. Con me, Giampiero Mughini, il direttore del Riformista Paolo Franchi e Tiziano Marelli.

Due illusioni intrecciate: l’Aranycsapat di Puskàs e il socialismo reale. Il calcio e la politica. La mitica nazionale magiara che ha messo in ginocchio gli inventori del calcio, e quella falce e martello che regolavano la vita degli ungheresi nel dopoguerra. La squadra spezzata di Luigi Bolognini, cronista di «Repubblica», si può leggere anche come metafora di ogni umana illusione: dal fervore di un sogno bello come la nazionale di Puskàs, al tetto del mondo, fino al crepuscolo di un idolo, il Colonnello, che passerà nei giorni della rivoluzione addirittura come «traditore». Protagonista un ragazzino, Gabor, che cresce insieme al suo semidio: un modello sul campo ma anche nella vita, rispecchiando tutti i valori dell’uomo socialista. Da piccolo contribuisce alla costruzione del Nepstadion a Budapest, che sarà il teatro della sua intensa amicizia con Sandor. Tutto fino alla catastrofe in quel bagno di afa nel catino della capitale magiara, il 4 luglio 1954, la finale radiotrasmessa dal pantano di Berna contro la Germania Ovest, seguita due anni dopo dalla rivoluzione di Budapest, soffocata nel sangue dai russi. Due vittorie lì a un passo dalla felicità vera, due porte in faccia dal destino. Bolognini racconta con rigore e passione la cavalcata verso la gloria della nazionale magiara e i fatti rivoluzionari, anche grazie a un soggiorno in Ungheria e ai preziosi reportage di Indro Montanelli; ne esce un libro che ha il sapore di un calcio (e un mondo) tramontati e il finale dolceamaro di un’altra illusione solo apparentemente finita, quella di un «mondo nuovo».