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EDITORIA: E’ IN LIBRERIA ‘LA SQUADRA SPEZZATA’ = L’ARANYCSAPAT DI PUSKA’S E LA RIVOLUZIONE UNGHERESE DEL 1956

Roma, 21 gen. – (Adnkronos) – ‘La squadra spezzata’ di Luigi Bolognini (Limina edizioni, 14 euro) è in libreria dal 19 gennaio, e ripercorre quella sottile linea rossa che lega l’Aranycsapat (Squadra d’Oro), la Nazionale ungherese di Puskàs e Hidegkuti, con la Rivoluzione del 1956, repressa dall’Unione Sovietica con i carri armati.

Quella squadra, come la Honvèd, il club di Budapest in cui militano Puskàs e Bozsik, è l’ambasciatrice del Paese nel mondo, regala bellezza e gioia agli ungheresi, oppressi da un regime grigio e sanguinario, dà la speranza di un futuro diverso. Il giovanissimo Gàbor, fanatico di Puskàs, vive i trionfi alle Olimpiadi e contro l’Inghilterra come il segno che il comunismo, di cui è un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Rimet del 1954 manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un Paese.

La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, il sedicenne Gàbor perde ogni punto di riferimento: approva la rivolta, ma si sente sempre socialista. Fino a quando i carri armati sovietici invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione…

(Red-Spr/Gs/Adnkronos)
21-GEN-07 11:47

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Già dall’esordio (Gli eroi son tutti giovani e belli, 2003) s’intuiva che Luigi Bolognini, della nostra redazione milanese, era attratto dal passato. Quel libro era una galleria di ritratti di atleti in pensione (da Ottolina a Garbelli, da Missoni alla Pericoli) e dagli incontri con loro era riuscito ad estrarre l’air du temps (che non è solo un’etichetta di profumo). Il secondo lavoro, La squadra spezzata, era in partenza più difficile e ambizioso. La squadra spezzata è la grande Ungheria degli anni ’50: Puskas e Kocsis, Bozsik e Hidegkuti. Composta quasi per intero da giocatori della Honved, perse una sola partita su 50, tra il ’50 e il ’56, e quella partita era la finale dei mondiali del ’54, a Berna. Vinse la Germania, 3-2 in rimonta, e due anni dopo i carri armati russi a Budapest segnarono la fine, nel sangue, di una stagione e di molti sogni.
Bolognini è attratto specialmente dal passato che non conosce. Essendo nato nel ’72, non ha vissuto quella maledetta finale in cui quasi tutta l’Europa tifava per gli ungheresi, più tecnici, più eleganti. Erano i primi mondiali in tv, in Ungheria c’era solo la radio. Sui campetti oratoriani noi cercavamo di imitare i tiri di Puskas, chiamandoli all’ungherese (di esterno, ad effetto). Non avendo visto, Bolognini s’è documentato, e molto bene, in loco. Ha parlato coi superstiti della squadra, col telecronista di allora, con gente che era andata prima al Nepstadion e poi sulle barricate.
Chi ama il grande calcio, leggendo, capirà perché l’Ungheria era così forte da umiliare i maestri inglesi (6-3 a Wembley, 7-1 a Budapest). L’ambizione dell’autore stava nell’inserire una storia nella Storia, con le vicende calcistiche a intrecciarsi con la crescita (anche politica) del ragazzino Gabor, che stravede per Puskas. La cosa funziona, dai mattoni per costruire il Nepstadion fino all’ultimo treno utile per scappare a Vienna. E quindi questo è un bel libro.

(Almanacco dei libri, 20 gennaio)

Esce oggi in libreria La squadra spezzata (ed. Limina, 149 pagine, 14 euro), la seconda fatica letteraria di Luigi Bolognini, giornalista sondriese che – partendo dall’esperienze sulle colonne del settimanale La  Provincia di Sondrio – è poi arrivato alla redazione di La Repubblica, il quotidiano per il quale ancora oggi lavora. Così, dopo Gli eroi son tutti giovani e belli, ecco un romanzo brioso e godibile, che parte sì da una  vicenda sportiva, ma che ben presto – grazie a Gabor, protagonista forse un po’ autobiografico – diventa un’avvincente vicenda a tutto tondo. Il racconto di un’epoca che ha fatto storia, anche e soprattutto per l’Aranycsapat di Puskas e per la rivoluzione ungherese del 1956. Bolognini quei fatti non li ha vissuti. Ma ha studiato e si è documentato. Soprattutto si è innamorato perché soltanto un innamorato può intingere il pennino nell’inchiostro della memoria e regalare sensazioni ed emozioni come quelle che sono in un  libro che gode della prefazione di Roberto Beccantini, una delle migliori firme italiane.
I lettori non si spaventino e non pensino a un romanzo grigio, fotografia di un’era lontana e imprendibile. Calcio e comunismo vengono esaltati dalla prosa dell’autore, ma sono solo il pretesto per un bel salto  nella memoria e per centotrentacinque pagine che filano via tutte d’un fiato per quanto sono ben scritte e strutturate. Uno sforzo che conferma quanto Bolognini abbia ha cuore la ricerca e le storie: questa non è  da perdere, visto che di fantasia c’è solo il protagonista.
Il resto è realtà vera e propria, mai artefatta e sempre è pronta a regalare vibrazioni a ogni pagina. Toccanti le dediche: a Enzo (Baldoni, il giornalista rapito e trucidato in Iraq) e a Samuele (Bersani, il cantautore che all’amico e collega di Bolognini ha dedicato una canzone). (e.c)

Bolognini, perché proprio l’Ungheria e fatti lontani addirittura sedici anni dalla tua nascita?
«Tutto comincia da una bisnonna da parte di papà. La sua era un’origine austroungarica, una suddita dell’impero. E io ho voluto ripercorrere quelle tracce».

Ma ci sarà pur dell’altro…
«In effetti, l’idea è nata a fine luglio, dopo aver letto una biografia di Montanelli, Lo stregone. Un viaggio professionale fino all’Ungheria, e anche particolarmente reazionario, se devo essere sincero. Raccontò la rivoluzione del ’56 così come l’aveva vista. Come un fatto quasi di sinistra, che non mirava a gettar via tutto quello che fu comunista, ma che puntava invece a modificarlo. E la grande realtà intellettuale di un uomo che avrebbe potuto anche cavalcare l’evento, dandone una visione distorta, mi ha conquistato».

E ti ha convinto: quella che era solo un’idea è poi diventata pratica.
«Ho deciso allora di telefonare all’unico editore che conosco di persona, il mio. “Se me lo consegni entro ottobre, si può fare”. Avevo due mesi, non di più. Sembrava un’impresa impossibile, invece gliel’ho fatta, anche perché mi considero uno di quelli per i quali è “buona la prima”, quindi in corsa ho poi cambiato ben poco rispetto a quello che ho scritto subito».

Con una punta di rammarico, però…
«Mi spiace aver perso la coincidenza con il cinquantennale, ma in Italia va bene lo stesso».

Come, «in Italia»? Non starai mica pensando di sbarcare anche in Ungheria?
«Un pensierino alla traduzione l’ho fatto. Così come ho fatto leggere il libro a un giornalista ungherese figlio di un giovane diplomatico ai tempi della rivoluzione, poi diventato ambasciatore nel nostro Paese. La storia è piaciuta, soprattutto è reale, ma il mercato editoriale magiaro, adesso e dopo la morte di Puskas, è invaso di libri e pubblicazioni sul campione. Potrebbe esser curioso, forse, solo il fatto che ha scrivere sia uno che viene da fuori».

Puskas, la Nazionale, la Honved e l’orgoglio di un popolo intero. Ci fosse un Bolognini d’Ungheria, su cosa si potrebbe buttare? Sul grande Torino?
«Per analogie con il mio racconto, in un intreccio tra calcio e politica, vedrei meglio la Nazionale di Pozzo, quella dei Mondiali del ’34 e del ’38, con forti connessioni con il regime. Però sì, il grande Torino sarebbe un bell’esempio italiano».

Lavorando su una di queste due squadre di sicuro avresti fatto meno fatica.
«Questo è certo, anche perché adesso non è facile districarsi in Ungheria e infatti ho dovuto rifarmi a testi inglesi e americani. A Budapest ci sono fonti che dicono una cosa, altre che raccontano l’esatto contrario. Non c’è, ad esempio, una sola pubblicazione sulla grande Nazionale che spaventò il mondo».

E allora chi ti ha aiutato?
«Internet, in prima battuta. Poi il fatto di essere andato sul posto e di essere entrato in contatto con alcuni colleghi. In Ungheria il calcio è praticamente azzerato, ora sono folli soltanto per il campionato italiano. Pensate, c’è una tv a pagamento che trasmette il nostro torneo 24 ore su 24. E i giornali di sport aprono regolarmente con titoli su Cannavaro o sull’Inter. Ventun anni senza partecipare a un Mondiale sono un dato che comincia a pesare come un macigno».

Ma almeno l’orgoglio è rimasto…
«E lo testimonia la morte di Puskas: tre giorni di lutto nazionale e mezzo milione di persone ai suoi funerali».

E della rivoluzione cosa è rimasto?
«In questi periodi, dopo anni senza farne cenno, se ne è tornato a parlare: gli ungheresi continuano a essere divisi. Qualcosa è riecheggiato nelle proteste popolari dell’ottobre scorso».

Nel frattempo, tu di Puskas ti sei innamorato e tra le righe del romanzo ti si vede lì, sugli spalti a tifare e ad arrabbiarti…
«Mi ha colpito, e parecchio, la mole, per un calcio che non c’è più. Pensate a un fatto: lui era grassottello, Garrincha aveva una gambia più corta dell’altra… Roba d’altri tempi. Prendete invece all’Inter di adesso, somiglia più a una squadra di basket».

Ma Puskas ci starebbe ai giorni nostri?
«Era un mix tra Baggio e Riva, ve lo immaginate? Estro da vendere e un sinistro potentissimo. Un po’ rotondetto e pigro, però: forse avrebbe fatto faville, forse non sarebbe emerso».

Di certo non era solo un eroe “giovane e bello”, ma molto di più…
«Lui però non voleva essere un eroe. Non era comunista, anzi amava – e molto – il soldo, ma quando il regime chiamava, arrivava, premiava i bambini e magari alzava il pugno sinistro al cielo. Ma era anche quello che faceva contrabbando di collant, che andò a giocare nel Real Madrid franchista e che, alla fine, si è anche dovuto trasformare in eroe, per tentare – grazie al calcio e ai guadagni – una fuga in Occidente non solo per lui ma anche per tutta la sua famiglia».

C’è più realtà o fantasia nel libro?
«E’ praticamente tutto vero, a parte il personaggio, che però è una sorta di frullato di tutto quel che c’era. A Gabor, ad esempio, ho voluto dare il cognome di mia bisnonna, per il resto penso di aver fatto un lavoro abbastanza intenso».

E lo si vede anche nei dettagli.
«Volevo esser preciso. Ed è forse per questo che alla fine amo più La squadra spezzata del libro che scrissi prima. E’ una scommessa, ma è anche un’esperienza che sento più mia».

http://www.laprovinciadisondrio.it/PolComo/20070119/pdf/SO1901-SOSP02.pdf

(Edoardo Ceriani, La Provincia di Sondrio, 19 gennaio)

Oggi pomeriggio alle 15 mi hanno intervistato a diretta, e un po’ a sorpresa, su Radio Popolare. E sono finalmente uscito nelle librerie, quasi in tutte ormai. Quindi non avete scuse.

L’autore è un caro amico, e parrebbe piuttosto poco imparziale da parte mia fare qui promozione al suo ultimo libro. Ma se tanto mi dà tanto e se, come sono sicuro, questo suo nuovo romanzo mi piacerà come mi è piaciuto il precedente, il messaggio promozionale che vi sto imponendo…
lo so che parlo come un televenditore Luigi, abbi pazienza, lo scrittore sei tu non io; dicevo: se la storia del giovane Gàbor, appassionato prima e disilluso poi di sport e socialismo reale nell’Ungheria di metà anni ’50, mi piacerà come mi è piaciuto il racconto garbato e puntuale delle umili e grandi storie di atleti e uomini di un passato sportivo ormai, e purtroppo, dimenticato, piaciuto per di più a uno come me che è quanto di più lontano da uno sportivo o da un tifoso si possa immaginare, bè, questo vorrà dire che non avrò fatto solo una cosa gentile nei confronti di un amico, ma anche un qualcosa d’importante per tutti voi che ogni tanto passate di qua, perché la buona letteratura è uno dei valori fondamentali di una società civile.

http://quintadecade.splinder.com/post/10589804/LEGGETE+E+DIFFONDETE

17 gennaio 2007

(AGM-DS) – Milano, 16 gennaio – Puskas e la Squadra d`Oro rivivono in un libro di Luigi Bolognini, La squadra spezzata. La sottile linea rossa che lega l’Aranycsapat (Squadra d’Oro), la Nazionale ungherese di Puskas e Hidegkuti, con la Rivoluzione del 1956, repressa dall’Unione Sovietica con i carri armati. Quella squadra, come la Honved, il club di Budapest in cui militano Puskas e Bozsik, e` l’ambasciatrice del Paese nel mondo, regala bellezza e gioia agli ungheresi, oppressi da un regime grigio e sanguinario, da` la speranza di un futuro diverso.

Il giovanissimo Gabor, fanatico di Puskas, vive i trionfi alle Olimpiadi e contro l’Inghilterra come il segno che il comunismo, di cui e` un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Rimet del 1954 manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un Paese. La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, il sedicenne Gabor perde ogni punto di riferimento: approva la rivolta, ma si sente sempre socialista. Fino a quando i carri armati sovietici invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione. La storia della squadra spezzata inizia qui.

16/01/2007 17.18.07

Tra una quindicina di giorni, Limina dovrebbe mandare in libreria La squadra spezzata, di Luigi Bolognini. E’ la storia “politica” della Honved, la squadra simbolo dell’Ungheria, a cavallo della sommossa contro la dittatura comunista sedata brutalmente dall’intervento dei carri armati sovietici (su cui ho scritto tempo addietro). Nell’attesa, resa ancora più interessante dall’annuncio che ne ha fatto pochi giorni fa Gianni Mura, il gastronomo che si occupa di sport, ho sfogliato di nuovo un libro che sta risalendo preziose posizioni nella catasta dei propositi di lettura, Budapest, di Chico Buarque de Hollanda, un’icona della musica brasiliana e intellettuale a tutto tondo.

Al di là della storia di Jose Costa, un ghost writer che rimane bloccato per una notte nella capitale dopo un convegno di scrittori anonimi, è la lingua la protagonista del libro. Lingua corrusca, quella ungherese, che sembra scateni passioni violente per la scrittura. La Budapest del titolo è in buona parte immaginata; i pochi riferimenti reali sono, guarda caso, quasi tutti sportivi, anzi calcistici: c’è un poeta che si chiama Kocsis, un hotel è intitolato Zakarias, Puskas è il cognome di un impiegato che lavora a poca distanza da piazza Czibor. Un omaggio ai campioni dell’Aranycsapat, la Squadra d’oro.

http://quasirete.gazzetta.it/post/10450470#more-10450470

(Gazzetta.it, 4 gennaio 2007)

La grande Ungheria di Puskás e Kocsis, quella che tra il ’50 e il ’56 giocò cinquanta partite perdendone una sola, peccato fosse la finale mondiale del ’54. Tra un mesetto dovrebbe essere in libreria La squadra spezzata di Luigi Bolognini che rievoca quei tempi. Voto 7,5 (ho letto le bozze).

http://www.repubblica.it/2006/12/sezioni/sport/cento-nomi/cento-nomi-tre/cento-nomi-tre.html

(30 dicembre 2006, rubrica “100 voti al 2006”)

Debutta in libreria Il mio libro, La squadra spezzata. Un romanzo di calcio anni Cinquanta, Ungheria, comunismo, libertà e quant’altro. Edizioni Limina, 154 pagine, 14 euro.
In questo blog raccoglierò recensioni e commenti sul libro, pubblicati sui giornali e internet, andati in tv e radio, fatti privatamente. Ovviamente sentitevi liberi di dire la vostra, domandare, insultare. Insomma, fate voi. Purché lo compriate. Lo trovate nelle librerie e pure su Internet. I link per ordinarvelo comodi a casa sono qui a fianco. E qui sotto, ecco la copertina. Non vi viene già voglia di comparvelo?